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Rourke, lottatore malinconico

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6 Settembre 2008
Mickey Rourke (Ap)

Dulcis in fundo. Sarà una banalità, ma è questo che ci ha riservato la programmazione del zoppicante concorso della 65esima Mostra del Cinema.
A lungo sotto il livello di guardia, negli ultimi giorni ha calato un poker che ha reso il giudizio negativo molto più moderato: Demme, Bigelow, Corsicato e Aronofsky, dopo che solo Miyazaki e Naderi (e, meno, Bechis) avevano colpito pubblico e critica. Tiepida l'accoglienza per Il seme della discordia del cineasta italiano, al ritorno dopo un'assenza di sette anni. Troppo gioioso e colorato, troppa (auto)ironia per il compassato pubblico di critici e appassionati, poco abituati alla dissacrazione anche un po' grezza. Troppa sensualità da fumetto per chi è abituato a respiri e sospiri da cinema d'autore, ma poi scappa dalla sala come successo quest'anno in più di un'occasione. Il seme della discordia (già da ieri sera in sala con 225 copie!), invece, è una commedia surreale infarcita di esilaranti citazioni cinematografiche – dalle dive di Martina Stella alla Corazzata Potemkin fino ai poliziotteschi anni 70 e Via col Vento – che vuole giocare sull'ossessione moderna riguardante la maternità e la paternità.
Lei, una splendida Caterina Murino, rimane in cinta e lo scopre il giorno in cui a lui (Alessandro Gassman) i medici rivelano di essere sempre stato sterile. «Torno al cinema dopo tanti anni, a causa del flop di Chimera nessuno mi faceva più fare film. Ma ho convinto i produttori (Rodeo Drive con Medusa Film e Sky) con questo film leggero che parla di temi importanti come l'aborto e l'inseminazione artificiale. Avevo voglia di giocarci sopra, spero di non essere stato offensivo».
Si divertono gli spettatori, anche quelli indignati, ma l'impressione è che lo facciano anche il regista e gli attori, soprattutto le tre bellissime donne del cast (c'è anche Isabella Ferrari), disegnate, vestite e accarezzate dalla macchina da presa con impudica generosità. Irriverente verso tutto e tutti (non salva nemmeno una suora, parliamo di un autore che sogna di girare una bizzarra biografia di San Gennaro), quest'opera segna una svolta del festival, sempre più aperto a nuovi e prima bistrattati linguaggi, dalla commedia all'animazione.
Molto più classico, ed è stata una sorpresa, The Wrestler di Darren Aronofsky. Ovazione per il genio che aveva, proprio qui al Lido, dato a tutti una delusione cocente con The fountain, chiusura della trilogia che aveva già visto i cult Pi Greco-Il teorema del delirio e Requiem for a dream. Tributo meritato, perché questo, forse, è il suo miglior film. Il protagonista, interpretato da Mickey Rourke, è il lottatore di wrestling Robin Ramzinsky, in arte Randy "The Ram" Robinson (tripla citazione carpiata di matrice pugilistica), un perdente che cerca dignità e orgoglio, perché l'importante non è vincere, ma è come combatti. Anche quando il tuo sport è fatto di coreografie e finzione. «Mi sembra incredibile – racconta il regista – che nessuno abbia mai fatto un film su questa forma di lotta libera. È un mondo, un carnevale interessante e variopinto, soprattutto nelle sue ramificazioni più periferiche e indipendenti. È uno specchio utilissimo della nostra società».
Piace molto Mickey Rourke, un ritorno trionfale nella parte di un uomo distrutto da anabolizzanti, fallimenti personali, con una malinconia eroica e ironica che alberga da sempre nello sguardo dell'ex sex symbol. «Non mi vergogno a rivelare che non mi è stato difficile capire la sua solitudine, la sua vergogna, le ho provate a lungo anche io. Ma non ho mai accettato compromessi, proprio come Darren, ecco perché ho creduto in questo progetto».
Un eroe alla Soriano, un'icona di sport e sentimento che si fa metafora di una società, egoista e crudele con chi è troppo sensibile o debole. È la cronaca di una vita straordinariamente precaria, di una star decaduta e decadente, fuori e dentro il film, di un mondo che non ha più eroi. Ed è, infine, un bellissimo e disincantato sguardo sugli anni 80 e dintorni, sottolineato da una delle più belle colonne sonore degli ultimi anni, con tanto di singolo inedito (e scritto per il film) di Bruce Springsteen.

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